Descrizione
Le origini
Sulle origini di Seclì, piccolo centro situato tra le Serre di Cutrofiano e le Serre dei Campi Latini, ci sono diverse ipotesi ma nessuna di loro è abbastanza documentata da poter essere ritenuta quella certa. Secondo la tradizione in questo luogo avvenne lo scontro tra Pirro, alleato di Taranto, ed i soldati romani che su questo altopiano avevano la sede dei propri accappamenti.
In base all’etimologia del nome del paese, ai ritrovamenti e ad alcune tracce, gli studiosi ritengono che:
– Seclì deriverebbe dalla parola latina “seculum”, una moneta di epoca romana che si dice sia stata ritrovata nei dintorni del paese. A convalidare questa ipotesi, che farebbe nascere Seclì tra il 281e il 275 a.C., c’è l’esistenza nei pressi di Seclì di un altopiano denominato Serra dei Campilatini (Campulatine), che secondo la tradizione si chiamerebbe così perché al tempo della guerra tra i romani e Pirro, re dell’Epiro, sarebbe stata sede degli accampamenti militari romani (castrum).- Seclì deriverebbe da “Sicli”, parola ebraica che indicava una moneta usata al tempo di Gesù Cristo .Via Giudecca
A sostenere questa ipotesi c’è l’esistenza di una colonia ebraica vissuta a Seclì fin dal XII secolo e testimoniata dall’esistenza del rione ebraico della Giudecca nella toponomastica antica e dall’attuale via Giudecca.- Seclì, secondo il Galateo (Antonio De Ferraris), deriverebbe dal verbo “secludo”, separare o dall’ aggettivo “seclusus”, separato.- Il Galateo dice che durante la dominazione greca nel Salento, alcuni profughi della Tessaglia fondarono due città: Galatone e Fulcignano. Tutte e due le città, per anni conservarono gli usi, i costumi e nella celebrazione delle messe il rito greco ma, quando Galatone rinunciò al rito greco e adottò il rito latino, fra le due città vicine scoppiò una guerra. Fulcignano fu sconfitta e i suoi abitanti in parte si unirono a Galatone, in parte invece, “propter injuriam”, abbandonarono la loro città fortificata e si spostarono verso sud dove fondarono alcuni piccoli centri tra cui Seclì. Questa tesi è convalidata dalla Prelatio De Epiphanis del 1412 che dice che Seclì a quel tempo era di rito greco.Stemma Fam. D’Amato
– Secondo il De Rossi Seclì avrebbe avuto origine in epoca normanna. Egli dice che quando il re di Sicilia e Conte di Lecce Tancredi nel 1192 fece incoronare suo figlio Ruggero II, dichiarandolo suo successore, del regno di Sicilia e di Puglia, questi volle ricompensare 20 cavalieri leccesi che nel 1150 avevano aiutato il suo avo Roberto il Guisgardo, donando a ciascuno di loro delle terre nei dintorni di Lecce. La terra di Seclì fu donata a Filippo De Ranna (secondo altri Filippo de Persona) con il titolo di barone. Succesivamente proprietarie del feudo furono i Brienne, i d’Enghien e gli Orsini del Balzo. Dalla metà del 1500 furono i signori D’Amato ed i Sanseverino. Successivamente divennero baroni i Rossi, signori di Caprarica. Nella seconda metà dell’800 il feudo passò ai Papaleo. Nel 1930 divenne frazione di Aradeo e tale restò fino al 1948, anno in cui tornò comune.
Approfondimenti storici
Le insufficienti e scarse fonti storiche non ci permettono di ricostruire con esattezza la storia di Seclì. Si sa che nel 1484 durante la guerra tra Venezia e Gallipoli, Seclì fu occupata dai veneziani . Durante il periodo dell’occupazione l’economia del paese diventò ancora più precaria. In seguito ad un trattato Seclì e gli altri paesi occupati, successivamente, furono restituiti al re Ferdinando. Nella prima metà del 500 i De Persona succedettero ai Del Dolce e successivamente a questi i Caracciolo. Nella seconda metà del 500 (1550) divennero feudatari di Seclì con il titolo di Duchi i D’Amato, nobili spagnoli venuti in Italia al seguito degli aragonesi, padroni dell’Italia meridionale. Con la famiglia D’Amato Seclì visse un periodo di sviluppo e benessere, trasformandosi da antica fortezza in residenza signorile, “la fortezza diventa palazzo”. In una sala del palazzo feudale, possiamo osservare sulla volta 5 volti affrescati che corrispondono ai Francesco e Antonio. Del primo duca si hanno poche notizie.
Il suo successore, Guido, fu un uomo coraggioso e colto. Partecipò alla battaglia di Lepanto, in Grecia, nel (1571), dove la flotta cristiana inflisse una durissima sconfitta alla flotta turca. Tornato nel suo feudo fece costruire il convento dei frati minori osservanti con l’annessa chiesa dedicata alla Madonna degli Angeli. Diede inizio alla costruzione del Palazzo Feudale ed ingrandì la Chiesa Matrice di Maria delle Grazie.
Verso il 1610 a Guido successe Ottavio e a questi, verso il 1615 il figlio Francesco. Nel 1647, quando il popolo si ribellò alle numerose imposte dei signori spagnoli (rivolta di Masaniello a Napoli), l’ultimo dei D’Amato, Antonio, fu coinvolto in un episodio di rivolta popolare scoppiata nel Salento contro i signori locali. Il B. Perrone ci dice che a seguito della rivolta scoppiata a Nardò, il duca neretino fece imprigionare don Antonio Bonsegna alleato dei rivoltosi, II popolo neretino allora per ottenere la liberazione del Bonsegna mandò due frati francescani, del convento di Sant’Antonio da Padova di Nardò, dal barone di Seclì, Antonio D’Amato, minacciandolo che avrebbero sequestrato e poi bruciato la sorella Suor Chiara, se non avesse convinto il duca di Nardò, suo cugino, a rilasciare il Bonsegna. Questa rivolta ebbe fine con la liberazione del Bonsegna. Antonio era fratello di Suor Chiara, al secolo Isabella duchessa di Seclì nata il 14 marzo 1618 e morta a Nardò il 7 luglio 1693, figlia del duca Francesco. Dopo la sua morte si diede inizio al processo di beatificazione, avendo Suor Chiara vissuto tutta la vita dedicandosi interamente a Dio e al prossimo e avendo compiuto numerosi miracoli.
Si dice che qualche giorno dopo la sua morte, non avendo della defunta alcuna immagine, le consorelle decisero di riesumare il cadavere, conservato nella cripta del convento per far eseguire ad un pittore il ritratto. Erano trascorsi oltre 8 giorni dalla morte, eppure il cadavere, estratto dal sepolcro, non era rigido, non presentava il “rigor mortis”, anzi il corpo si prestava facilmente ai movimenti che le suore gli facevano fare per metterlo seduto sulla sedia della cella, davanti al tavolo in adorazione del crocifisso, per il ritratto.
Si dice che quando il pittore cercò di mettere in una posizione più corretta il volto di Suor Chiara, questo si ritrasse quasi disapprovando di essere toccato dalle mani di un uomo. Fatto il ritratto, il processo di beatificazione ebbe inizio. I prelati incaricati per il processo dovevano vedere il corpo della suora, per questo si decise di riesumare nuovamente il cadavere di Suor Chiara. Ma aperto il sarcofago si vide, con grande stupore, che le spoglie di Isabella D’amato erano sparite e non avendole più trovate il processo di beatificazione non potette procedere. Questo mistero fu spiegato solo molto tempo dopo, quando una suora del convento, in fin di vita, disse che Suor Chiara era stata sepolta dalle consorelle, dopo la riesumazione, in un luogo nascosto che sarebbe stato individuato dal ritrovamento di una lapide con il nome della defunta e la data della sua morte. Ma la lapide descritta dalla suora non si è ancora trovata .
Nel 1686 il feudo di Seclì passò alla famiglia dei San Severino, dietro pagamento di una somma concordata. La famiglia D’Amato che aveva trasformato Seclì da antico “castrum” in residenza signorile e che aveva assicurato al feudo un periodo di discreto benessere, si trasferì a Foggia e poi a Napoli. Con i San Severino il feudo di Seclì perse molti averi e molti privilegi che aveva avuto precedentemente.
Durante la dominazione dei San Severino Seclì visse un periodo particolarmente duro caratterizzato da una forte pressione fiscale. Oltre alle consuete decime sui frutti e sugli animali, venne imposto lo “Jus gallinarum”, cioè la tassa annuale di “carlini quattro e grana cinque” che ogni abitante che aveva casa doveva pagare, eccetto gli ecclesiastici. Per poter vendere i loro prodotti gli abitanti di Seclì dovevano pagare una tassa di “grana dieci” al feudatario. Inoltre, sempre in quel periodo, fu imposto lo “jus tarpedi” cioè la tassa sulla molitura delle olive, che imponeva anche che le olive prodotte nel feudo di Seclì dovevano essere molite solo e soltanto nei trappeti del feudo. Il feudo di Seclì restò nelle mani dei San Severino fino al 1796, dopodichè divennero baroni i Rossi, signori della terra di Caprarica.
Nella seconda metà dell’800 il feudo di Seclì passò ai Papaleo, a seguito del matrimonio tra l’ingegnere Giacomo Papaleo da Bagnolo e Angiola Rossi, nata dal secondo matrimonio di Nicola Rossi con la governante del palazzo Oronza Carlino. L’università di Seclì, (l’insieme delle persone e del territorio) nel 1809 faceva parte della repubblica partenopea governata da Gioacchino Murat, cognato di Napoleone; dopo il 1815 ritornò sotto il dominio dei Borboni con Francesco I, re delle due Sicilie. Nel 1861, il Comune di Seclì della provincia di Terra d’Otranto, con Sindaco Donato Carluccio entra a far parte del del regno d’Italia. Nel 1930 Seclì diventa frazione di Aradeo e lì dovrebbero essere conservati i documenti riguardanti i cittadini di Seclì fino al 1948, anno in cui torna ad essere Comune.
Stemma
Informazioni su stemma e gonfalone
Nella parte inferiore è raffigurato un serpente ondeggiante che forma una “S” rovesciata, iniziale del nome del paese.
Stemma dall’Archivio di Stato di Napoli
Questo stemma è stato ricavato da documenti dell’Archivio di Stato di Napoli ed è conforme al sigillo del Comune di Seclì riportato in alcuni documenti del 1743.